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La luce pastello dell’alba filtrava dalla finestra.

Si alzò lentamente dal letto, come faceva oramai da anni, da moltissimi anni. Non ricordava più da quando. Abbandonata la società, si era ritirato in quel lembo selvaggio di terra. Non ne aveva la proprietà, ma per chilometri quadrati quella terra desertica era divenuta la sua terra.

Non face colazione subito. L’avrebbe fatta poi, dopo la sua giornaliera uscita mattutina. 

Seduto sul letto sentiva fluire serenità, gioia e pace. Nella sua carne si leggevano i segni del tempo, le battaglie della vita, i conflitti emotivi, le gioie della convivialità, la tristezza di abbandoni obbligati o voluti,  i sogni rimasti e quelli raggiunti.

Si guardò le mani, poi i piedi. Non si sentiva stanco come in certe altre mattine. Sentiva la fiammella dentro accesa ed arsa dal desiderio di muoversi.

Niente scarpe particolari, ho chissà quali vestiti. Quello con cui dormiva era quello con cui usciva. Un sorso dalla brocca. Un sorso di acqua limpida, fresca rispetto alla temperatura esterna che già cominciava a salire.

Da tempo non sentiva quella forza fluire. Ancora una volta non si sentiva altro che un giovane pieno di forza che iniziava a correre per i sentieri conosciuti, famigliari, rassicuranti.

Le gambe giravano benissimo, i piedi sfioravano il terreno, le braccia le lasciava al vento, più ali che braccia. Sentiva l’aria, la toccava, poteva quasi vederla. Il paesaggio era ricolmo di colori. Il silenzio, che per i più è qualcosa di vuoto, per lui era pienezza. Era quel qualcosa necessario per sentirsi coinvolto, dentro, invaso dall’ambiente circostante. Colore tra i colori, natura tra la natura.

Più di altre volte, o forse come non mai, ora non riusciva a distinguersi rispetto al mondo esterno. Il mondo era lui, era pervaso di un senso di esistenza trascendentale. Lui era energia, la riceveva e la donava. 

Correva. Continuava a correre.

Guardava il sole muoversi prima dall’orizzonte verso la perpendicolare sopra la sua testa, poi nuovamente sull’orizzonte. Nulla intorno a se dava segnali di stanchezza. Ne’ li dava lui. Si muoveva come tutto ciò intorno a lui, come qualcosa di ineluttabile, di naturale. Come il sole, la luna, la terra, la pietra che ruzzolava e lui lucertola che scappava, il ramo che fletteva, il vento. Ah, quanto amava il vento! Quasi sempre in quella terra non soffiava, pensava che la sua necessità di correre venisse proprio da far nascere il vento, era lui l’artefice del vento. Lui era vento.

La notte lo vide ancora correre libero sui crinali aspri e le vallate spinose. La luna come compagna, amica, visore. Lui era la luna. 

Non sentiva soluzione di continuità tra lui ed il tutto.

Nel suo vagare era trasceso. Il corpo si stava lentamente spegnendo, ma non ne aveva la sensazione, la sensibilità, il controllo. La sua fiammella interna ardeva ancora forte. Era fiamma di sole, di terra, di luna. Lui era natura. Il suo gesto, continuo, immutabile, ne segnava l’esistenza. 

Ancora corre. 

Ancora i più attenti sentono la sua fiammella ardere. A volte servono molti chilometri sulle gambe per percepirla, ma poi non la dimentichi. Arrivi ad amarla ma anche ad averne paura, a temerla. Perché sai che un giorno ti lascerai prendere e guidare da essa. Ineluttabile.

Egli, ancora corre.

Anche se il suo corpo disidratato è stato trovato, dopo quattro giorni di ricerche, esanime ai bordi di una pozza asciutta. Egli, ancora corre.

 Caballo Blanco corre. Lunga vita a Caballo Blanco.

Dedicato a tutte le anime avventurose e solitarie che ora si trovano tra le nuvole. A Cavallo Blanco; a Zoras.

Lorenzo