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Ma chi è Zoras ?

Zoras è il mio (o potrebbe essere il tuo) io più vero, sprezzante, diretto, concreto, saggio. Naturale, neutrale, emotivo. Un io anche non convenzionale, asociale, disadattato. Yin e yang. Lui non può vivere senza di me…anche se io potrei vivere senza di lui, ma sarebbe una vita ‘scialba’, troppo ‘lineare’, troppo razionale, poco riflessiva ed emotiva.

Zoras è quello che sarò, o che vorrò essere quando potrò.

Zoras è sempre presente, ma si rivela saltuariamente. Impregna momenti, sottolinea emozioni e verità scomode…

Come e a quando risale la sua nascita?

Lui ha 5 anni meno di me, ha molte rughe, un viso bruciato dal sole e dal vento. La barba a volte ce l’ha, folta e bianca, a volte rasa ma stranamente lo invecchia di più esserne senza.

Il fisico lo ha snello, ma tutto nervi. Solitamente ben vestito…ma sempre da montagna. Per lo più solitario, ma non disdegna la compagnia, parla poco ma quando lo fa, beh, lascia il segno. 

Come dice lui “originario del mondo”. Con “tanta vita vissuta e poca da vivere” (sempre come dice lui).

È ‘apparso’ per la prima volta durante la stesura di un vecchio racconto. L’ha arricchito e mi ha colpito. Ero io, ma non ero io. Mai capitato?

Stavo appunto scrivendo di una cordata di due ragazzi impegnati su di una parete in Dolomiti nel ripetere una nuova via molto dura. 

Si erano incrodati su di un passaggio ed erano notevolmente stanchi e oramai poco lucidi. Stavano decidendo il da farsi quando, come un felino silenzioso, li raggiunse dal basso uno strano individuo: Zoras.

Zoras stava arrampicando dall’alba in solitaria su una facile via di roccia parallela alla loro. Era difficile incontrarlo o vederlo in azione. Era sfuggente.

Non conosceva bene la via che avevano scelto i ragazzi, ma sapeva che era molto, molto dura. Quella poteva essere per lui l’occasione propizia di poterla provare sfruttando la loro corda e uno di loro per fargli da sicura. Erano i primi anno ’80, lui meno che trentenne.

Così li raggiunse e si offrì di provare a salire quel passaggio così ostico. Era un passaggio veramente difficile, su roccia ancora umida dalla notte, strapiombante, su Dolomia antica, friabile. Chi l’aveva ‘aperto’ era probabilmente passato di slancio senza mettere chiodi od assicurazioni, probabilmente trovando la roccia in condizioni migliori di quanto non lo era in quel momento. Sicuramente era anche un alpinista molto più forte di loro tre.

Zoras era comunque riuscito ad alzarsi per un bel pezzo ma ora si trovava anche lui incrodato, trovando difficoltà sia per salire che per scendere.

Sapeva che se non fosse riuscito a superarlo nei successivi pochi minuti avrebbe dovuto trovare un modo per mettere un rinvio di sicura da qualche parte, piantare un chiodo per assicurarsi e riposarsi o…lasciarsi cadere. Quest’ultima purtroppo sembrava essere l’eventualità più probabile, visto che un chiodo da roccia con una mano sola non sarebbe mai riuscito a piantarlo e per di più non ne aveva mai con sé.

C’era un’altra possibilità. 

Appendersi ad un cliff (1) e farsi calare. 

Era una cosa folle, ma “l’unica soluzione non è mai folle, è semplicemente la migliore” (sempre come dice lui).

Perciò, con una mano prese il cliff (uno lo teneva sempre attaccato all’imbrago per risolvere eventuali problemi simili a questo, senza ‘ferire’ la roccia) e lo adagiò su di una piccola reglette (2) della parete. Senza strattonarlo, non sarebbe servito, ma posizionandolo invece con delicatezza. Dopo aver avvertito il compagno più sotto, sulla sosta, di cosa stava facendo, passò la corda nel moschettone del cliff e, caricatolo con dolcezza del suo peso, iniziò a farsi calare. 

Non ci pensò più su. 

Qualsiasi cosa potesse succedere, ora non era più nelle sue volontà. In quei minuti interminabili in cui veniva calato, senza strattoni, ma con una cura ed attenzione maniacale da parte del compagno improvvisato, sentì che nulla di tutto ciò che aveva e vedeva intorno a se gli apparteneva. Sentì sua solo la consapevolezza di quel momento; sentì che gli apparteneva solo quell’istante in cui aveva deciso di posizionare il cliff ed il resto era vita che scorreva, a cui lui non poteva aggrapparsi, né metaforicamente né fisicamente. Poteva solo scorrere con essa, nel tempo preciso che viveva, senza poter fermare nessun istante.  

Quando arrivò sul terrazzino di sosta, Zoras stranamente non aveva emozioni particolari. Non si sentiva né sollevato, né felice, né preoccupato. Sapeva di aver vissuto qualcosa di particolare, sapeva che essere vivo non era altro che la fatalità di non essere stato ‘il suo momento’. Nulla stava dipendendo da lui dopo ‘il cliff’: l’ultima sua scelta volontaria. La montagna non l’aveva reclamato, anzi, gli aveva fatto capire quanto sia casuale il nostro destino. E quanto sia stupido preoccuparsi delle cose che non possiamo controllare. Uno dei momenti più pericolosi della sua vita l’aveva vissuto in uno stato di completa calma. 

Qui rinacque Zoras. Nacque la sua, la nostra, consapevolezza di memento mori. Si liberò consapevolmente delle catene soporifere che ci vogliono dormienti ed omologati. Capì che ogni giorno la sua vita era una calata su di un cliff (1) che poteva ‘staccarsi’ in qualsiasi momento; non voleva più essere ‘passivo’ durante queste quotidiane discese! Aveva deciso di vivere!

Abbiamo due vite: la seconda inizia quando ci accorgiamo di averne una sola.

COnfucio

Vorresti incontrarlo?

I tre si guardarono. 

Ogni parola, prima di essere pronunciata, deve superare tre cancelli: deve essere vera, deve essere utile o necessaria, deve essere gentile. Qualsiasi cosa volessero dirsi in quel momento sentivano che non superava il secondo cancello: non serviva.

I ragazzi predisposero la corda doppia (3) per ritirarsi dalla via, mentre Zoras aveva iniziato a disarrampicare per scendere rapidamente. 

Non si incontreranno più, se non casualmente una volta nella Falesia di Rua a Lucci. 

Una cosa che invidio di Zoras è il fatto che da quel momento ha un’amicizia privilegiata con la montagna. Si capiscono, dialogano e sono intimamente connessi. Si vogliono bene! 

Da quel momento sa esattamente come e quando ‘forzare’ la mano per raggiungere il suo ‘obiettivo’ ma anche quando umilmente tornare nei suoi passi, senza che questo scalfisca la sua autostima o l’orgoglio, ma anzi, lo rafforza nel rapporto solidale con la montagna. 

Zoras resta un solitario, ma puoi comunque avere la possibilità di incontrarlo a Lucci.

Ma sappi anche che Zoras può essere ognuno di noi…oppure, semplicemente, può essere il mio (o il tuo) pseudonimo o la nostra personalità bipolare.

Ma soprattutto, sappi che in questo blog potrai ‘leggerlo’ in più occasioni…cercalo: Zoras

“Non ti svegli la mattina con una brutta sensazione nello stomaco, non puoi sapere quanto questo giorno che vai ad affrontare sia importante e magari … unico.” 

ZORAS

Memento Mori

La fugacità del nostro vivere non deve far si che le nostre emozioni, le nostre azioni siano meno preziose. Al contrario, la chiara consapevolezza di Zoras, ora anche nostra, di non essere immortali e soprattutto che il cliff può scivolare via in qualsiasi istante, dà autenticità alla nostra vita. Assecondare la sensazione che dall’esterno ci viene infusa di avere il tempo sempre tutto davanti a noi non è altro che uno splendido miraggio. Un miraggio soporifero che ha il fine di impedirci di incidere sul nostro vivere. Vivere il presente è dunque molto più complicato che trovarsi semplicemente, quasi per caso, nel frangente attuale. Vivere è sapere che devi morire. Zoras ci è passato e la sua nuova vita è iniziata quando ha compreso di averne una sola. Iniziando a soppesare il tempo per vivere relazioni qualificanti con se stesso e con gli altri e perseguire i suoi sogni!

I sogni sono fatti per le persone coraggiose. Per tutte le altre ci sono i cassetti.

Francesco aprile

Zoras è quello che sarò, o che avrei voluto e non ho potuto essere…

  1. Il cliffhanger (cliff o skyhook) è un caratteristico attrezzo dell’arrampicata artificiale. Viene usato durante la progressione, permettendo allo scalatore di sostare brevemente (appendendosi con questo a una scaglia o un’irregolarità della parete), nei casi in cui non sia possibile utilizzare strumenti maggiormente sicuri.
  2. La réglette, in alpinismo e nell’arrampicata sportiva, è un piccolo appiglio che sporge ad angolo retto dalla parete.
  3. La discesa a corda doppia è una tecnica particolare che permette di calarsi lungo pareti verticali con le corde di sicurezza usate per salire una parete in arrampicata.

Zoras ha capito quanto stupefacente è vivere; è riuscito a comprendere e quindi a conquistare tempo per VIVERE; lo aiuta la consapevolezza acquisita.

EPOREX