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Bisogna saperla ascoltare la montagna. Sapere quando è il caso di uscire ed affrontarla. Sapere quando invece è il caso di restare al tepore di casa o di un Rifugio. Questo è rispetto. C’è sempre qualcosa oltre quello che si vede, e sovente quello che si immagina diventa vero.”

“Quando mi trovo di fronte ad un paesaggio che mi prende particolarmente o in un frangente che mi scuote l’animo, mi infervoro, mi esalto, mi illumino.”

La vecchiaia ha la libertà e la bellezza di non aver più alcuna trama…

ZORAS

“La vecchiaia porta la libertà e la bellezza di non aver più impegni lavorativi, ridotti quelli affettivi e sociali, o perlomeno non così pressanti, ‘obbligatori’, inevitabili: puoi scegliere. Puoi scegliere di entrarci dentro lasciandoti ancora, come da giovane, condizionare e prendere dentro al ‘vortice’. Oppure lasciare ogni condizionamento, ogni costrutto sociale e cercare di godere di questa mai avuta libertà. E’ una libertà però che pesa, che devi saper governare, prenderla per le corna e non lasciare che ti affossi, per quanto essa ti possa sembrare pesante. Trovarti senza una trama da seguire, in questo palcoscenico che è la vita, non sempre è un conforto. Così mi lascio prendere dalla montagna, dai paesaggi.”

Questi erano i pensieri che avevano agitato il sonno di Zoras. Non nascondeva a se stesso che spesso vacillava tra momenti di euforia, per tutta la tavolozza di colori disponibili per dipingere la tela bianca della sua giornata, della sua vita; a momenti di malinconia e di spossatezza, per dover sempre creare una trama che fosse all’altezza del suo tempo residuo di vita; che valesse la pena di ‘recitare’, prima di incontrare la ‘suocera secca’. Perdere tempo era sempre stato il suo cruccio, anche ora che di tempo ‘libero’ ne possedeva.

Anche quel giorno dondolava tra l’ordinario e lo ‘straordinario’. E come sempre, farà vincere lo ‘straordinario’, l’azione, il movimento. E come sempre, senza prendere compromessi con altri: da solo. La solitudine non gli era mai stata irritante o scomoda, anzi, per lui conteneva qualcosa di nobile, una scelta anticonformista. La solitudine è una punizione solo se ti viene inflitta dagli altri. 

“L’avventura e la sfida con se stessi non richiedono sempre lunghi viaggi, a volte è sufficiente guardare la mia Valle per costruirmi avventure. Vediamo: la cresta che la contorna è una ‘sirena’ sufficiente? SI! Quella linea di confine tra terra e cielo, che rinchiude tutto il mio mondo, per oggi potrà bastare. Pur rispettandola, le sensazioni che mi trasmette sono positive.”

L’ha già percorsa; l’ha percorsa interamente in pochissimo tempo quando era giovane.

Forse, questa malinconia, questa spossatezza, che sente, derivano dai pensieri che da qualche mese affollano la sua vita onirica. Ha sempre sognato molto, ma sognava il futuro, i progetti, gli obiettivi. Ora gli capita sempre più spesso di sognare la sua gioventù, il passato. Fin da quando era giovane ha boicottato la memoria, cancellava: date, incontri, eventi…subito dimenticati. Si obbligava ad insediarsi nel presente, poiché il problema non era solo quello di soffermarsi troppo sul passato (cosa che riusciva a scacciare abbastanza bene), ma al contrario, di essere sempre troppo proiettato sul futuro. Non pensava mai alla sua giovinezza e a quanto sin li fatto, perché era preso ed appassionato dal futuro. Per questo si imponeva di vivere il presente. Cercando di boicottare il passato e di frenare il futuro.

“Azione! Quindi cosa faccio? Ah già, la cresta.”

Nel pomeriggio raccoglie il piccolo marsupio da corsa, ci infila una giacca a vento, qualcosa da mangiare e da bere. Sa che, in caso di difficoltà, troverà fonti d’acqua e frutta di bosco. C’è anche un riparo di fortuna a metà del periplo della cresta (con delle scatolette di cibo), tuttavia opta comunque per una pila frontale perché tentare nuovamente di percorrere la cresta intera tutta d’un fiato, senza fermarsi per la notte, potrebbe comunque portarlo oltre il tramonto. Suppone infatti di non poterla fare in una giornata, come un tempo, decide di correre quindi anche con il buio che potrebbe raggiungerlo.

Inizia risalendo il sentiero dell’irto crinale sud. Ha scelto quello più ripido per arrivare prima possibile sul filo di cresta. Giunge sulla cresta in un tempo che non avrebbe immaginato. Giusto per riempirsi gli occhi e l’anima dei colori del tramonto. Aveva preso consapevolezza che non sarebbe riuscito a percorrere la cresta d’un fiato, tutta con la luce del giorno. Non era più giovane. A quel punto, il momento della partenza gli era ininfluente ed era così partito nel tardo pomeriggio (per cercare di affrontare l’unica notte, che aveva previsto, ancora in forze). Questa la sua prima valutazione.

Dopo i colori del tramonto, la notte arriva presto e con lei il buio, il freddo ma non il silenzio. I sensi sono troppo tesi e percepiscono qualsiasi piccolo rumore. La notte sembra ben più rumorosa del giorno. “Poco importa, il mio mondo è racchiuso dentro questa bolla luminosa della pila frontale, intorno a me potrebbe esserci qualsiasi cosa, ma non illuminata non esiste.” 

Sa di essere fortunato. Sa che alla sua età (68 anni!) essere così ben in forma è un dono ma anche una conquista. Tuttavia sa anche che è quello che lo rende così non arrendevole, concitato, frenetico…impavido(?). La malattia, l’isolamento, l’immobilità, l’invisibilità sociale, il degrado estetico, l’usura, la pena (più che l’invidia) che si legge negli occhi degli altri che ti guardano, sono benedette per poter vedere nella propria morte un sollievo, ci preparano. Ma se invece tutti questi ‘preliminari’, per fortuna o per conquista, non li percepisci, la ‘suocera secca’, la morte, la vivi come una tragedia e continui a volerla sfidare ed allontanare. E’ per questo che sta correndo (più correttamente camminando veloce) su di una cresta di notte? 

“L’alba, come ogni alba andrebbe vissuta con qualcuno. Il tramonto posso godermelo in solitudine; ma l’alba di un nuovo giorno andrebbe vissuta in compagnia. Comunque, godiamocela da questo sasso prorompente il precipizio. Un must!”

Capisce in questo momento di aver fatto un errore nella preparazione dell’uscita: non ha portato con sé del caffè e di questo sa, ironicamente, che ne sentirà la mancanza da qui in avanti. Supera avvallamenti, tratti larghi e prativi (“magari avere con sé una tenda”), fili di cresta rocciosi. Le giornate, quella precedente e questa, gli regalano un cielo terso, seppur freddino. E nessun incontro umano: non era quello che voleva?

Pensava che il problema sarebbe stata la velocità e non la resistenza. Non gli basta l’aiuto del meteo favorevole, l’acqua e il cibo che gli fornisce il bosco; la sensazione di essere nel posto giusto al momento giusto. Non gli basta da questi elementi acquisire la forza per lottare con la fatica, il sonno, il freddo. Freddo che con l’aumentare dello sforzo si fa più pungente. Tutto questo non basta per non accusare il peso del tempo sulle prestazioni del fisico. Si ricorda che l’obiettivo non era ‘vincere’, ma arrivare. Cambia quindi approccio e passa dal progredire con la forza ed il fisico (velocità), all’avanzare con la testa, la determinazione e la volontà (resistenza). Avanza con il fuoco del desiderio. Anche questi ultimi aspetti però invecchiano, se ne rende conto ora, ma sono più facili, se si vuole, tenerli ‘giovani’. Si ricorda che nei primissimi anni adolescenziali, prima di diventare quello che è, conservava per decenni i suoi desideri nei cassetti, senza mai prendersi il disturbo di adattarli al presente. Poi ha capito che non era più tempo di non dar corpo ai suoi desideri. E oggi lo sa più che mai.

Avanza con il fuoco del desiderio di realizzarli e tenerli giovani.

Alla fine ha usato il ricovero, quello a metà della cresta. Aveva capito che gli sarebbero servite quattro notti per chiudere il periplo. La prima, che aveva inserito forse stupidamente e per superficialità, la seconda, arrivata troppo presto (si era detto che non era stato lui ad andare troppo lento), la terza, appunto passata nel ricovero lottando con il bisogno di essere cercato e di riprendere i contatti con il mondo. Ed infine la quarta, che sarebbe arrivata ancora sulla cresta, ancora, ma non più camminando, ma arrancando verso il sentiero di discesa. Tuttavia ancora felice e sereno. Spassionato della vita.

“Si, sono spassionatamente sfinito! C’è l’ho fatta, mi sento un’altro…un morto che cammina! Ha, ha, ha!!”

Ma veramente sente un altro. Un’altra persona. Una persona che piange. La vede appoggiata ad un’auto con un pianto ampio, liberatorio. Gli si avvicina e gli porge uno strappo della carta igienica che tiene sempre nel marsupio. Dopo un po’ si guardano, riconosce una faccia che non gli è estranea, ma neanche familiare.
Si chiede perché piange e cosa gli sia successo. Poi vede che ha un enorme zaino appoggiato a terra. Così si siede su di un sasso sperando che l’invito sia esplicito: ho fame e sete!

Questi reagisce come Zoras si aspetta e in breve si trova a bere un thé caldo! Il calore del thé gli scalda il corpo e l’anima. Sposta la sua barba selvaggia dopo 5 gg di permanenza tra i monti e condivide quanto ha vissuto e cosa ha portato a casa da questa esperienza. Mette alla luce sentimenti e sensazioni che erano solo un embrione maturato durante questi giorni di estrema solitudine. Parlare gli serve a fissare i pensieri. Sente che il benefattore è affamato di umanità e condivisione d’intenti, quanto lui è affamato di cibo e bevande. Dopotutto non c’è relazione umana che non sia anche opportunistica, pensa.

Rifocillatosi con quelle piccole cose (sia nel fisico che nell’animo). Compreso che il benefattore era un suo ‘seguace’ (il perché lo fosse non l’aveva ben capito). Si allontana rapido e deciso a porre fine a questo lungo ‘fine settimana’. Convintosi che le persone restano quello che sono al momento in cui hanno incrociato la tua vita, sia che queste cambino o siano passati decenni, e che lui era questa figura ‘ferma nel passato’ nella visione che il benefattore si era fatto di Zoras. 

Completa il racconto con: ZORAS, QUESTA ASSENZA COSE’?