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Zoras, come tutte le mattine, apre la finestra del suo locale-bar. Il sole filtra ancora ambrato, freddo, leggero; illumina la libreria del locale. Riscalda i libri vecchi, usati, stantii, vissuti. Libri che Zoras usa per viaggiare nello spazio e nel tempo. Il tempo: il suo cruccio. Quel bene a lui così prezioso che non vuole veder sprecato, usato goffamente, non compreso.

“Amore, tempo e Morte. Queste tre astrazioni collegano ogni singolo essere umano sulla terra…noi desideriamo l’amore, vorremmo avere più tempo e temiamo la morte”.

dal Film COLLATERAL BEAUTY

Si siede sullo sgabello dietro al bancone, avvia la macchina del caffè e se ne prepara uno. Una volta il rito del caffè era più lento, più meditativo, più inebriante. Oggi è decisamente meno rituale, meno intenso, più frettoloso.

Ritorna poi al pensiero di comprendere il tempo. Non ha la minima idea di cosa possa voler dire. Più pragmaticamente sa che è un bene abbondante, ma per lui (come per tutti noi) l’uso del tempo è limitato, prezioso, a scadenza. Per questo ha preso la decisone di tenere aperto il bar solo dalla mattina presto (per accogliere i mattinieri della montagna, che a lui risultano gli avventori più simpatici), sino al primissimo pomeriggio (per i clienti che gli portano invece i maggiori guadagni, attraverso la consumazione di birre e di panini), ma poi il resto della giornata, il resto del tempo, forse solo gli ‘spiccioli’, se li prende lui per spenderli a modo suo.

La sua angoscia è sempre stata quella di vivere momenti intensi ed emotivi il più possibile. Non per questo ha paura della morte, non la teme. Zoras sa che la morte non segue gli ordini altrui, col suo ‘potere’ decide o meno di concludere ‘i suoi affari’. E’ una componente della vita che bisogna accettare. Zoras lo sa e se l’è fatta ‘compagna’ per sentire l’obbligo di vivere intensamente tutto il ‘suo tempo’. Questo non fa che intensificare quel suo cruccio del tempo: tempo effimero se gestito male (ed è convinto che il tempo è quasi sempre gestito male). Non ha comunque rimpianti, forse qualche recriminazione, ma tutto quello che poteva (e voleva) fare l’ha fatto.

Si scrolla da questi pensieri. Nel pomeriggio, come sempre, partirà per la sua uscita tra i monti, con la destinazione ben precisa in testa ma con il cuore aperto a qualsiasi variazione di percorso.

La mattinata è passata velocemente. L’incasso non è buono, come succede sempre più
spesso. Una costanza nel periodo invernale. Per fortuna la modesta casa di proprietà è
quasi autosufficiente (in base anche alle sue minime necessità); l’orto e qualche animale da cortile completano la sua autosufficienza.

Può così sfruttare il tempo al meglio, conscio che ogni cosa che compriamo (utile od inutile) non la compriamo con il denaro ma col tempo dedicato alla sua produzione. La costante presenza della morte, la sua ‘compagna’, poi gli serve per rimanere concentrato e motivato, senza momenti ‘bui’.

A volte tra questi due tiranni, il tempo e la morte, sente che gli manca l’amore. Quell’amore che può esaltare maggiormente la vita, i momenti da condividere, gli ‘spiccioli’ spesi bene. L’amore è convinto però sia la sua montagna. Nei momenti di sconforto si dedica e si accompagna ad essa. Non considera però che lui non può scegliere chi amare o da chi essere amato.

Chiuso il Bar, nascosti i soldi in casa (non ha alcuna forma di deposito), attacca le pelli (*) agli sci. Ha già ‘rubato’ qualcosa dalle vivande preparate per i clienti. Nel termos ha messo del caffè caldo. Prende la pila frontale, oramai è consapevole che la sua testa malata potrebbe farlo rientrare in orari non proprio consoni per uscite di scialpinismo. Stasera ci sarà luna piena e pensa che “chi non ha mai sciato sotto la luna piena non ha idea di cosa si sia perso!”.

Si allontana da casa con gli sci in spalla, c’è troppa poca neve per metterli già ai piedi.
Sale sfruttando la mulattiera che via via si fa sempre più bianca, riuscendo infine ad
infilare gli sci ai piedi. Arriva a Malga Valpiana. C’è poca neve. Sembra che anche lei
voglia seguire l’andamento degli incassi: ogni anno sempre meno. Poco sopra la malga la neve comincia ad essere più abbondante, gli alberi sono spose ricoperte da veli bianchi con sfumature ambrate date dal sole che sta andando a costruire l’alba da qualche altra parte nel mondo. Zoras viene salutato con uno splendido tramonto. Guarda il cielo infuocato e pensa a quanto sia strana la questione delle nuvole. Durante il giorno non vengono mai apprezzate, ma trovano la loro rivincita al tramonto. Un tramonto non può essere splendido se non è accompagnato dalle tavolozze fornite dalle nuvole su cui il sole sfoga la sua gamma di colori.

Raggiunge in tempo la cresta, dove poter ‘comodamente’ godere di questo spettacolo a
270°. Solo il versante nord gli è interdetto alla vista. Salendo aveva notato le tracce di una volpe, chissà se anche lei si sta godendo tutto questo.

Mette gli sci a terra a mo’ di panchina, con le pelli verso l’alto, per stare più comodo a bere un sorso di caffè caldo. Saluta il sole quando la luna è già presente ed evidente in cielo. Riflette su quante albe e tramonti vengono persi, non vengono vissuti. Ma lui va in un’astinenza ‘dolorosa’ se non ne assume con la giusta regolarità.

La sua prima sensazione, in questi momenti, è di profonda solitudine. Secondo lui, l’alba può essere vissuta in solitudine, ma il tramonto è fatto per essere vissuto in compagnia. Per questo, in questi momenti, la prima sensazione che prova è di solitudine. Poi, razionalmente, si dice di essere in compagnia con gli animali del bosco ed in particolar modo con la sua amata montagna. Lei è qui, con lui. A questo punto non si sente più solo e il cuore sfugge ai brividi del freddo, interno ed esterno.

Si gusta il momento ed attende che il buio sia così spesso da permettere alla luna di
risplendere e rendere fosforescente il bianco intonso che copre l’intera cresta sin giù nella valle. Toglie le pelli, sistema gli attacchi e regola gli scarponi. Si infila la pila frontale sulla testa, non ne avrà bisogno con una serata così luminosa, ma non si sa mai.

Inforca la prima curva con trepidazione, con la giusta paura e tensione che serve per non farsi male. Dopo le prime curve ben pennellate si sente un tutt’uno con la neve, con il pendio e continua in fluide curve regolari, leggiadre, silenti. Solo luce e fruscio.

Solo luce e grida.

Zoras viene attratto da un punto luminoso al limitare del bosco. Più si avvicina e più sente anche alcune grida spente, soffocate. Sembrano di un giovane ragazzo. Dove vede il punto luminoso, da dove proviene questa voce strozzata, la neve non ha alcuna soluzione di continuità, non è smossa. Non ci sono evidenti segni di passaggio o di slavina. Eppure, su di un punto ben preciso, quella luce forma come una bolla subacquea luminosa sotto la neve.

Non può togliersi gli sci altrimenti in quel punto sprofonderebbe troppo. Accende la pila e punta il suo fascio sullo stesso punto da dove proviene l’altra fonte luminosa. Sente incrementare le frasi incomprensibili, ma nessun movimento, nessun altro rumore. Si allontana di un paio di metri, salta giù dagli sci e sprofonda sino alle ginocchia. Inizia a scavare in profondità per almeno un altro metro e poi inizia a scavare in parallelo al terreno verso la luce. Quando ritiene di essere abbastanza vicino al punto luminoso scava con più delicatezza sino a raggiungere un punto vuoto, una bolla. Allunga la mano e sente qualcosa di simile ad una coscia. Risale lentamente in quell’incavo, via via liberando quella che sembra una mano, poi un braccio ed infine una spalla. Fatto da solo tutto questo gran lavoro ora sente che arriva un aiuto anche da dentro l’incavo.

Liberare la persona dalla gabbia di neve è un lavoro sfiancante che fa sudare entrambi gli individui coinvolti, sino al momento in cui i loro occhi si possono incrociare. Lo sguardo severo ed ispido di Zoras incontra quello pudico e felice di Rosamaria.

L’esperienza di montagna di cui è in possesso Zoras gli permette di capire subito che lei ha dei primi principi di ipotermia e che le servono immediate cure. Tutto ciò lo consiglia di lasciare a dopo le spiegazioni e di portarla subito in basso al caldo.

Con difficolta e non sufficiente aiuto da parte di Rosamaria, la estrae dalla neve, le fa bere del caffè caldo e con lei in braccio, scende a spazzaneve (*) tra gli alberi del bosco e poi lungo la mulattiera sino alla sua Baita.

Entrano. Lei si guarda attorno registrando i particolari di quella umile ma calda dimora. Zoras prepara un improvvisato giaciglio di cuscini vicino alla stufa a legna, che ravviva, e la lascia riposare. Lei si avvolge nella coperta e sfinita si addormenta.

L’indomani il sole penetra con raggi caldi nella baita. La mattina è già avanti, quasi a
sfiorare il primo pomeriggio. Zoras rientra dopo la chiusura del bar. Vede sul tavolo,
ancora intonsi, il pane, il formaggio e lo speck che aveva lasciato per Rosamaria. Anche il caffè, orami raffreddatosi, non è stato consumato. Al rumore di Zoras, lei si rianima ed inizia a chiacchierare ininterrottamente.

Il pomeriggio scivola veloce. Quel pomeriggio Zoras non sente il richiamo delle sue
montagne. Il feeling, il racconto, la condivisione di idee e pensieri, l’intimità che si crea tra lui e lei lo avvolge. Non ha mai provato sensazioni così intense e profonde.

Non è attrazione fisica quella che sente (almeno non di solo quella è infuocato il suo
essere). E’ qualcosa di diverso, di più intenso, di più profondo, rispetto a quanto mai
provato prima. Vicino a Rosamaria (tra le chiacchiere ne scopre il nome; scopre che per i suoi sessant’anni ha deciso di andare in Nepal a salire un 7000; che era lì per provare a dormire in una truna (*) ma che, non avendola mai costruita prima, deve aver sbagliato qualcosa; che appena entrata per colpa sua o per un passaggio di un animale, forse di una volpe, le è crollata addosso; che la neve bagnata ed umida l’ha ‘incementata’ senza possibilità di muoversi; che la sua salvezza sembrava essere solo qualcuno che arrivasse; etc. etc. etc.).

Lui, abituato a lunghi silenzi e poche parole, non è irritato da tutte quelle chiacchiere, anzi si diverte, se ne sente allietato. Il vino aperto aiuta a rendere l’atmosfera molto ‘semplice’, per nulla complicata, fluida. La sua difficoltà di relazionarsi con gli altri non c’è nei confronti di Rosamaria. Vicino a lei si sente dentro una bolla colorata, un tutt’uno con lei. C’è una certa attrazione fisica, ma quello che sente maggiormente è qualcosa di immensamente più profondo e stupendo.

Passa così il pomeriggio, la sera e anche la notte.

L’indomani Rosamaria chiede a Zoras di riportarla a recuperare il suo zaino, i documenti e le chiavi dell’auto. Insomma, le sta chiedendo di recuperare la sua ‘precedente’ vita. Così, tra tutte quelle chiacchiere e risate, scopre anche che è sposata, che ha dunque un marito che la sta aspettando a casa (scopre che l’aspetta di lì a due giorni perché prevedeva di passare due notti nella truna; che per quello l’aveva ben nascosta; che l’aveva avvisato che non avrebbe avuto copertura telefonica; che si sarebbe fatta viva lei se si fosse sentita in pericolo; che ha un figlio che vive e lavora all’estero e molte altre cose che la allontanano da lui). Ma nella sua mente rimane impressa quella frase: “si sarebbe fatta viva lei se si fosse sentita in pericolo”. Quindi anche lei stava bene con lui, visto che non si è sentita in pericolo.

Dopo la chiusura giornaliera del bar, Zoras riprende i passi di qualche giorno prima. Sale lentamente con gli sci e Rosamaria dietro con le craspe (*) da lui prestate. Entrambi in silenzio. Una cosa strana per loro. L’ora e mezza che gli serve per raggiungere l’ex truna è totalmente silenziosa e pesante per entrambi. C’è qualcosa che stanno cercando di capire, di dirsi, perché è evidente ad entrambi che c’è qualcosa di non detto che deve essere detto.

Arrivano al buco. Rosamaria recupera, non senza difficoltà, i suoi beni, i suoi valori, la sua vita. Si guardano. Chi parte per primo?

Zoras sente qualcosa salire da una zona così profonda e sconosciuta che non sa gestirla, non sa trattenerla: “Ti amo.” Lei lo guarda; anche lei, seppur già passata da quello che viene considerato comunemente amore, sente che quello che sta provando è qualcosa di decisamente più intenso e pericoloso di quanto provato sino a questo incontro. Anche lei sente di amarlo.

C’è un lungo, intenso, condiviso e questa volta compreso silenzio. Sanno già cosa stanno per dirsi: “che quello che sentono è sicuramente il vero amore, la perfetta intesa, la magica voglia di vivere la vita con un altro individuo, anzi, come un unico individuo. Ma è tardi. Avrebbero dovuto avere la fortuna di incontrarsi anni prima. Particolarmente lei, adesso, ha una vita a cui non può e non vuole rinunciare (o forse ha solo paura di farlo). Che devono lasciarsi ora, subito, perché ogni minuto in più in cui stanno insieme è una calamita pericolosa.

Scendono dal pendio.

Si ritrovano abbracciati sull’uscio della baita. Due ‘vecchi’ uniti da un’intesa eterea, non solo fisica. Davanti alla baita lei lo bacia sulla guancia, gli dà una carezza e va verso il parcheggio senza più voltarsi. Zoras la guarda sino a quando non può più vedere né lei né la sua auto.

Entra in baita. Non è né triste né ferito. Ma sorride. E’ contentissimo. Ha il cuore gonfio di gioia. Ha provato e vissuto qualcosa che non aveva mai lontanamente immaginato esistesse ed è convinto che pochissimi esseri umani hanno avuto la fortuna di provare.

Anche se tardi nella vita, ha trovato l’amore. Meglio, l’ha provato, l’ha sentito: esiste!

L’amore trasforma le perdite in conquiste: Zoras ora ha un animo ritrovato, ha una nuova pace interiore ed una nuova consapevolezza. Lui sperava di potersi sbarazzare facilmente di questo ‘difficile’ amore, ma invece ne è stato trasformato. Sino a due giorni prima Zoras si accompagnava con la morte e gli spiccioli di tempo erano il suo cruccio. Ora, la morte distruttrice e il tempo creatore, ha scoperto, hanno un terreno di mezzo fertile e compassionevole dove coltivare l’amore per la vita, non solo per le sue montagne.

“Io sono Amore. Io sono in ogni cosa, nell’oscurità e nella luce, nel sereno e nella tempesta. Si, hai ragione ero anche nella sua risata, ma come sono qui adesso nella tua disperazione. Sono la ragione di ogni cosa, sono il solo ed unico perché. Non cercare di vivere senza di me, ti prego!“

dal Film COLLATERAL BEAUTY

(*) truna: la truna è un bivacco di emergenza realizzato scavando una buca nella neve.

(*) pelli: sono strisce adesive da attaccare agli sci, costituite da setole che impediscono allo sci di muoversi all’indietro sulla neve durante la salita.

(*) spazzaneve: questa tecnica di discesa con gli sci prevede di scivolare con gli sci sulla neve e, mentre le punte degli sci si avvicinano, senza toccarsi, le code dietro si allontanano, andando a formare la ben conosciuta forma a V.

(*) craspe: sono le racchette da neve che consentono di spostarsi agevolmente a piedi sulla neve fresca o profonda poiché aumentano la superficie calpestata e quindi anche il ‘galleggiamento’ (hanno diversi nomi craspe, caspe, ciaspe, ciaspole, ciastre).