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Impara dagli errori degli altri perché non vivrai abbastanza a lungo per commetterli tutti

A. Sheinwold

“Il bello di avere una tabella di allenamento da seguire è proprio questo: non devi pensare, devi solo agire. Fare quello che è scritto e previsto. Quantità, qualità e periodicità.” 

Questo pensava Dawn mentre, dopo aver preso un’ora di permesso dal lavoro, si portava in auto al parcheggio sul passo. Una radura sterrata e panoramica sulla valle sottostante, dove spesso si trovavano le coppie. Lontano da occhi indiscreti per vivere i loro ardori.

Quella sera non aveva un allenamento impegnativo: 90′ di fartlek collinare. Aveva preso un’ora di permesso per anticipare l’uscita, visto che era prevista pioggia in serata e non voleva saltare quell’allenamento segnato nella tabella condivisa con Zoras. Così, partire prima, gli avrebbe permesso di fare l’uscita, possibilmente evitando la pioggia, ma in particolare non finire col buio. Erano i primi di Marzo e non era ancora cambiata l’ora solare. 

Stava bene, perciò partì con abbigliamento leggero, prevedendo di essere veloce. Il sentiero partiva molto ripido per poi iniziare un lungo saliscendi in cresta sino a buttarsi sul versante sud verso un crocefisso. Da lì una ripida discesa fangosa lo avrebbe portato su di un’ampia piana sul versante nord, spesso zona di avvistamento di Cervi.  Giro di boa e rientro per lo stesso itinerario.

Dawn procedeva leggero e veloce. Arrivato sul tratto fangoso si accorse della presenza di nuvole nere e minacciose che scendevano rapidamente dal monte difronte. 

Ripassò mentalmente il giro. 

Sceso sulla piana avrebbe dovuto risalire in cresta attraverso la valle riparata ed il tratto fangoso che aveva difronte, sino a scollinare nuovamente all’altezza del crocefisso e procedere  per il successivo lungo tratto di cresta appena superato. Infine, la ripida discesa all’auto. Ora, avrebbe dovuto procedere in discesa sul fango verso le nubi e dalla piana tornare, iniziando il rientro. Ritenne che avrebbe avuto il tempo per gestire il tutto senza scontrarsi con il maltempo. Questa, forse, più che una certezza era il desiderio di completare l’allenamento. 

A metà della discesa, prima un lampo e poi un tuono, lo avvertì che le nubi erano scese più velocemente di quanto aveva previsto o desiderato, e che, scontrandosi con l’aria più calda ristagnante nella piana, si erano trasformate in un temporale. 

In un tempo brevissimo Dawn si trovò sotto un acquazzone gelido, con lampi e tuoni troppo frequenti per non incutergli paura. Avrebbe potuto mettere in pratica tutte le conoscenze acquisite per non essere colpito da un fulmine, ma la pioggia divenne grandine e decise di trovare un riparo il prima possibile. Di fermarsi accucciato in mezzo alla piana, come era consigliato, non se ne parlava. 

L’adrenalina aveva ampliato tutti i suoi sensi ed in mezzo alla boscaglia, in un lato della radura,  vide una vecchia ed arrugginita lamiera di ferro sospesa tra alcuni rami a far da tettoia. Non era il massimo per i fulmini, ma cominciava ad avere troppo freddo e doveva togliersi da quella grandinata. 

Raggiunto il riparo di ferro, si posizionò al suo centro. Mise i pochi oggetti di metallo che aveva nel marsupio, vicino a degli attrezzi agricoli (un piccone, un badile, etc.) su un lato dell’improvvisato riparo. Si accucciò. Si prese le ginocchia al petto e cercò di trattenere meglio che poteva il calore che generava il suo corpo.

Pochi minuti e i fulmini si acquetarono, la grandine si trasformò in nevischio ed infine in pioggia sempre meno fitta. Il terreno era zuppo e faceva scorrere l’acqua sul piano sotto la tettoia. Purtroppo il ‘pavimento’ era concavo verso il centro e le sue scarpe si trovavano dentro una pozza d’acqua fredda.

Quanto tempo fosse passato al termine del temporale non riusciva a quantificarlo. Vedeva che nel frattempo si era fatto buio. Ora desiderava solo arrivare all’auto. 

Mise la testa fuori dalla tettoia di ferro. Come spesso succede, il cielo era di un blu cobalto e pieno zeppo di stelle come solo può essere dopo un temporale. La bellezza era contrastata dalla temperatura crollata. 

Era ora di andare verso casa. 

La corsa era legnosa, ma doveva cercare di aumentare il passo per far presto e per generare calore. Prese a spingere in salita sino a scontrarsi con un vento gelido che sferzava la cresta.

Stava gestendo il freddo con fatica. I pantaloncini corti e la maglietta leggera non erano state una buona scelta. Anche lasciare in auto il cellulare (temeva che la pioggia lo potesse rovinare) e la frontale era stato un errore. Per fortuna c’era una grande e luminosa luna piena ed il percorso era ben conosciuto.

Gli era stato insegnato che quando in montagna si sentiva aumentare il vento, si era vicini alla cima o ad una forcella. Nel suo caso era vicino al passo e a prendere l’ultima discesa. Il vento soffiava dalla cima del monte, che aveva oramai alle spalle, e tirava dritto sino al passo per riversarsi più giù in valle. Dawn immaginava il calore della valle andarsene verso l’alto per lasciargli spazio.

Il freddo lo si sente e lo si combatte. Il vento ti toglie calore lentamente ma inesorabilmente. Non è un ‘colpo secco’ ma un lento stillicidio. 

Dawn non se ne rende infatti subito conto. Il tratto in cresta gli prosciugò tutto il calore che riusciva a generare, lasciandolo intirizzito, sempre più legnoso e distratto. Quando se ne rese conto era tardi, ma vide la discesa e sapeva che dopo avrebbe trovato la sua auto. Immaginava già il caldo dell’abitacolo e pensava alla sua fidanzata che alzava sempre la voce perché teneva al massimo il riscaldamento dell’auto.  Oggi più che mai consumerà benzina da fermo, solo per sentire aria calda e puzzolente di motore.

Finalmente! Eccola, rossa, fiammante, agognata. 

Non sentiva più le mani e neanche le dita dei piedi. 

Anche parlare gli sarebbe costato molta fatica. A qualche metro dall’auto cercò le chiavi sul marsupio. Non aveva più sensibilità, ma non per questo poteva fare tutta quella fatica per trovarle. Poi gli venne un sobbalzo e guardò la discesa da dove era appena sceso … che divenne una temibile ed impossibile salita.

Si accasciò vicino alla portiera. Il mantello della ‘dama bianca’ lo stava già definitivamente avvolgendo. 

L’indomani pomeriggio un boscaiolo trovò sotto la sua improvvisata baracca, vicino agli attrezzi di cui aveva bisogno quel giorno per ripulire il sentiero che sale sulla Cima Rossana, un iPod ed un mazzo di chiavi di un’auto. 

Solo dopo averle portate ai Carabinieri capì che erano collegate alla morte bianca di un ragazzo sul Passo poco lontano.